Riceviamo e pubblichiamo.
Ho letto con grande interesse la "storia" che Marco Martini ha dedicato allo sprinter italiano dei primi del Novecento, Ettore Cappucci. E mi sono ricordato di avere in biblioteca un libro che acquistai in Gran Bretagna qualche anno fa, un libro sicuramente ignorato alle nostre italiche latitudini, pubblicato nel Regno Unito nel 1943, quindi in piena Guerra Mondiale. Tanto che nel retro del frontespizio si legge: "this book is produced in complete conformity with the authorized economy standards", ma nonostante le limitazioni della economia di guerra il volume si presenta molto bene, con una bella copertina rossa, una solida rilegatura che resiste come nuova dopo oltre settanta anni e ben 91 fotografie di ottima qualità dei più celebrati sprinters , mezzofondisti e fondisti professionisti, oltre che degli organizzatori di quegli spettacoli. Perchè è proprio alle gare dei professionisti che è dedicato, e da quanto ne so dovrebbe essere anche l'unico su questa materia. La pensano così anche i compilatori di quella utilissima pubblicazione, sempre british, "The guide to British track and field literature 1275 to 1968", pubblicato per la prima volta nel 1969 e poi riedito qualche anno fa dalla British Library. Si legge a pagina 37 a commento di "Powderhall and Pedestrianism. The history of a sports enclosure, 1870 - 1943", questo il libro cui mi riferisco:"Professional athletics is a twilight sport and Jamieson is the only writer in modern times to give it a detailed consideration". David A. Jamieson è l'autore, appunto.
Nel nord della città di Edinburgo si creò questo spazio dedicato allo sport professionistico, con corse per gli uomini, ma anche per animali, corse che attiravano migliaia di spettatori e, soprattutto, di scommettitori. Eredità di quel podismo di inizio Ottocento che viveva su grandi scommesse fra i riccastri, che camminavano giorni e giorni. Una storia bellissima con tutti i dettagli è raccontata nel libro di Walter Thom (1813) sulle camminate del "Capitano Barclays", così era conosciuto. Dal 1870 in poi Edinburgo vide fiorire una attività pedestre frenetica, che coinvolgeva non solo gli sprinters ma anche i corridori di mezzofondo, perfino i maratoneti. Se entriamo nei dettagli non la finiamo più, quindi torniamo al nostro Cappucci. Mi sono chiesto: se era tanto bravo come raccontava ai giornalisti italiani che si "bevevano" avidamente tutto, dovrebbe essere in qualche gara citata, con tutti i dettagli, da Jamieson nel suo libro. Ho cercato nell'indice e ho trovato "Cappucci, H., See Hector, C". Come scrive anche Martini, il nostro era conosciuto ad Edinburgo come Hector, e non con il suo cognome italiano. Accanto un riferimento: pagina 172, dove si tratta dell'anno 1916. Scrive questo l'autore:
" Coincident with those events were the attractions provided by sprint handicaps and also the continued popularity of dog-racing. In connection with the former a unique occurrence must be referred to-one wich,moreover, has no parallel in the history of the Grounds. This incident occurred in the final of a 130 yds. handicap run onSeptember 30, when two runners ran two successive dead-heats, and continued their struggle in a third attempe before a definitive decision was gained. The runners were C. Hector, Edinburgh, running from 16 yds., and M.Malcon, Edinburg, handicapped at 11 yds., and Hector after another grim struggle succeeded in gaining the judge's fiat. Both men were well-known competitors at Powderhall, Hector (in private life known as Cappucci) was responsible for the introduction of many famous runners of foreign extraction, icluding the Kolehmainen brothers, to this country, whilst Malcon had a very successful carreer as a handicap winner, especially in the minor supporting items of the various New Year Galas, in which he was successful in no fewer than four 220 yds. handicaps.".
Dunque il nostro Ettore era un well-known competitor, ed è ciò che risulta dalla ricerca di Martini., ma non un super E questa vuol essere solo una piccola testimonianza documentale, niente altro.
Nella foto: il frontespizio del libro di David A. Jamieson