Riassunto delle puntate precedenti. Si trattasse di una delle migliaia di serie televisive che, da anni rimbambiscono la gente con una moltitudine di morti ammazzati, fantasmi non credibili, funzionari che sembrano caricature, anche noi inizieremmo con lo stesso stereotipo. Ci limitiamo, nel nostro caso, a riallacciare il filo dell’articolo-intervista dedicata alla figura di un’atleta che ha lasciato l’impronta di falcate veloci nelle pagine scritte sull’atletica italiana. Chi ha letto – speriamo, e non alzato solo il pollicione di gradimento di questa parvenza di lettura-non lettura della dilagante incultura social – sa che parliamo di Giuseppina Leone.
L’avevamo lasciata a conclusione della sua prima partecipazione olimpica, 1952, Helsinki. Ripartiamo da lì e diamo qualche cenno di quello che la signorina fu capace di realizzare subito dopo. Inizia la primavera del 1953 e lei riprende a gareggiare per il club torinese SIP (sulla maglietta che indossa l’atleta c’è scritto SIPRA, come si vede dalla foto). Prime uscite per le fasi iniziali del campionato di società, il primo in due giornate, il 3 e il 17 maggio, denominate “Tornei regionali”. Bene l’esordio: 12”2 (terza serie) e poi una frazione della 100x4 con Accornero, Bergamini, Pirinoli, facile 51”1. Nella seconda tornata, 25”8 sul doppio ettometro.
Divagazione sull’atletica piemontese di quell’anno, limitandoci al volo di un drone innocuo (almeno in questo caso). Nella stessa fase del campionato per gli uomini, abbiamo spiluccato i nomi di alcuni dei migliori velocisti del tempo: Ghiselli, Sobrero, Leccese. Ancora in servizio attivo il dottor Primo Nebiolo che corre una frazione di staffetta con il suo CUS Torino. Tira il disco il ventenne Carmelo Rado (35,69, quarto). Doppia 800 (2’04”1) e 400 (53”4), anzi triplica perché corre anche una frazione di 400x4, Ludovico Perricone (Libertas Torino), da lì a non molto apprezzato giornalista, fino alla vicedirezione di “Tuttosport”. E poi ancora Giuliano Gelmi, Molina, Paschetto, Dall’Anese, bravi mezzofondisti, anzi fra i migliori a livello nazionale.
Rientriamo in corsia. Il 31 maggio si disputano sei semifinali del campionato, una sede è a Torino. Quel giorno il libro della cronologia del primato italiano dei 100 metri ci racconta che fu segnato il primo meno 12 secondi ottenuto da una signorina che correva veloce, lei, Giuseppina Leone. Con 11”9 scende dal 12”0 ottenuto da Claudia Testoni nel 1939. Giornate memorabili all’Arena Civica di Milano il 15 e 16 ottobre, quelle del duetto Rudolf Harbig- Mario Lanzi sui 400 e 800 metri, ma è una storia troppo importante per essere liquidata con poche battute. Nell’incontro Italia-Germania, lo chiamarono “Incontro dell’amicizia”, furono inserite anche delle gare per le donne. E in due di queste, Claudia Testoni offrì un primato del mondo (11”5 sugli 80 metri con ostacoli) e uno nazionale, quello dei 100, 12 netti. Tempo che Leone aveva impattato nel 1952.
Raccontare quello che successe negli anni seguenti sarebbe degno di un tomo da enciclopedia. Non stupitevi quindi, ma adesso, con un balzo da macropodide, ci trasferiamo al 1956, in Australia, precisamente a Melbourne, che fu sede dei Giochi della XVI Olimpiade. Vi raccontiamo le gare della signorina Leone, lasciandovi poi alla lettura della bella intervista (per noi è la terza puntata) realizzata da Guido Alessandrini. È lì la parte affascinante.
Giochi “invernali”, per la maggioranza degli atleti, fine novembre. E Giochi dispendiosi per andare fin laggiù. Lo si nota dai numeri. Prendiamo i 100 metri: quattro anni prima a Helsinki, 52 partenti, dodici batterie. Al Cricket Stadium (questo il nome esatto dell’arena olimpica) 34 partenti per sei batterie. Leone nella prima, che registra subito un gran “botto”: non si qualifica la statunitense Mae Faggs, velocista della Tennessee State University alla sua terza Olimpiade consecutiva. E farà la stessa ingloriosa fine anche nelle semifinali dei 200 metri. La nostra velocista sabauda vince in 11”9, che si seppe poi era stato rilevato dalle apparecchiature elettroniche come 12”00, quasi sicuramente il primo tempo elettrico di un certo spessore tecnico per la nostra tabella dei primati nazionali. Delle sue tre corse rapide questa fu la migliore. Prima semifinale: Leone deve soffrire, la spunta per due centesimi (stesso 12”1 manuale) sulla britannica June Paul. È in finale, ma, come leggerete dalle sue parole, non è la Leone dell’11”4, primato d’Europa di qualche mese prima. Corre anche Maria Musso, altra torinese, quinta nella terza batteria con un concreto 12”2. La Musso ha smesso per sempre di sprintare il 31 gennaio 2024, nella sua città natale.
Raddoppiamo la distanza, 200 metri, ancora sei batterie, per Leone la terza, e lei è pure terza (25”77) che significa fine della corsa. Stesso destino per la longilinea, molto longilinea, altra signorina della Tennessee State University, Wilma Rudolph, destinata a luminosa celebrità in riva al Tevere quattro anni dopo. Aveva appena sedici anni e pochi mesi, veniva dal secondo posto ottenuto alle selezioni del suo Paese (per far maggior scena le abbiamo, noi italioti, sempre chiamate Trials, vuoi mettere…), aveva fatto pari e patta con la più celebre Mae Faggs, 24”2, a Washington, il 25 agosto. La velocità fu regno per una donna sola: Elizabeth “Betty” Cuthbert, tre ori: 100 e 200 metri, staffetta 100x4. Una delle atlete scolpite nella memoria. Otto anni dopo ai Giochi di Tokyo incise il suo nome sulla medaglia d’oro dei 400 metri, nella prima finale olimpica di questa disciplina. Lo hanno eretto una statua vicino al Cricket Stadium di Melbourne, immagine della sua elegante falcata. Gesto brutalmente spezzato dalla malattia che la colpì e che la accompagnò fino alla morte (2017): sclerosi multipla. L’episodio più toccante (e due dei soci dell’ASAI quella notte erano là come spettatori e lo ricordano bene) quando, nella cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici di Sydney 2000, ella entrò su una sedia a rotelle, spinta da una atleta australiana, reggendo la torcia olimpica che consegnò alla nuotatrice Dawn Fraser (Roma ’60). Centomila, fors’anche più, in piedi e commossi. E, solo a ricordarlo, un groppettino alla gola viene ancora.
Una foto della foltocrinita Giusy Leone nel 1953 (immagine ripresa da "Atletica", bollettino della Federazione che allora aveva cadenza settimanale). Nella seconda immagine la riproduzione della pubblicità dei prodotti Felce Azzurra, che allora erano stati resi famosi attraverso la televisione con "Carosello", primi a reclamizzare la Paglieri di Alessandria fu il famoso Quartetto Cetra, che cantavano "un amico per la pelle". Poi vennero Alberto Lupo, Ornella Vanoni, Loredana Bertè
Melbourne 1956: il record dimenticato
“Di Melbourne ho conservato un’immagine e una situazione spiacevole. L’immagine è lo stadio e soprattutto un mare di berretti bianchi. Erano i nostri marinai, arrivati fin lì con le navi militari e poi tanto numerosi sugli spalti. Bellissimo. Anche soltanto per questo dettaglio molto visibile, noi della squadra italiana ci sentivamo un po’ a casa. Io ero molto motivata anche perché un mese prima, il 21 ottobre a Bologna, avevo battuto il record europeo con 11”4 e quindi qualche pensierino l’avevo fatto. A Melbourne arrivammo dopo un lungo viaggio aereo e ci sistemarono in un villaggio un po’ sperduto ma perfetto per conoscere tantissimi atleti. Bello, quell’aspetto dei Giochi mi era piaciuto proprio tanto.
"Però c’era vento. Un vento che mi dava un fastidio terribile. Insomma, un disastro come poi è stata la mia gara dei 100. Era l’anno perfetto per Betty Cuthbert, che in quel periodo era imbattibile, infatti si prese anche i 200, e che era la punta di una squadra di velociste australiane formidabili. Lei vinse l’oro proprio con quell’11”4 che io avevo ottenuto in Italia e terza era arrivata la Matthews con 11”7. Per l’argento la spuntò la Stubnick, proprio la tedesca a cui avevo appena levato il primato continentale. Io non carburavo, non funzionavo e ancora adesso non so darmi una spiegazione se non quel mio gran disagio per il vento. Altrimenti non si spiega il quinto posto con un 11”9 che non era proporzionato ai tempi su cui ormai viaggiavo regolarmente. Non andammo male invece con la 4x100, anche lì quinte. Vinse ovviamente l’Australia della Cuthbert con le americane soltanto terze. Ho poi scoperto che avevano schierato anche la sedicenne Wilma Rudolph che quattro anni dopo mi sarei ritrovata davanti a Roma. Andai in pista con Letizia Bertoni, Milena Greppi a Maria Musso ed eravamo poi lo stesso quartetto che due anni prima aveva vinto il bronzo a Berna correndo però un secondo più lento. Sono tornata a casa rimuginando amaramente su quell’11”4 non ripetuto in Australia. Sarebbe rimasto record italiano per tanti anni, finché Cecilia Molinari non l’ha migliorato nel 1972 ma intento l’occasione l’avevo sprecata. L’Olimpiade finì in maniera quasi rocambolesca. Durante l’interminabile viaggio di ritorno andò a fuoco uno dei motori mentre eravamo in volo e l’aereo fu costretto a fare scalo a Bassora. Erano tutti agitatissimi ma io non feci una piega e rimasi tranquilla al mio posto. Sono fatta così”.
“Il quinto posto di Melbourne cambiò in effetti qualcosa. Sia chiaro, parlo di dettagli se paragoniamo gli anni Cinquanta con quello che si vede, si sente e succede adesso. Una piccola agevolazione fu la concessione di qualche permesso - ero impiegata alla Fiat – per andare ad allenarmi. La seconda novità riguardava le scarpe, se non ricordo male le prime prodotte dall’Adidas per l’atletica leggera. Un miglioramento, anche se avevano comunque i soliti chiodoni lunghi un centimetro, quelli fissi sotto la suola e non quelli che si cambiano, che erano indispensabili per correre sulle piste in terra battuta di cui parlavo prima. E ovviamente avevano ancora le stringhe che ormai, me ne sono accorta guardando in tivù l’atletica e rendendomi conto com’è cambiata anche dal punto di vista tecnico. Piste, scarpe e modo di allenarsi, questo l’ho capito da un bel pezzo e direi che Tokyo l’ha dimostrato ancora di più. Faccio ancora un esempio, per dare l’idea delle proporzioni tra quell’epoca e oggi: vinsi una gara all’antistadio di Torino e come premio ricevetti una scatola di prodotti Felce Azzurra, borotalco e altre cosine da bagno, e già sembrava una cosa eccezionale, un privilegio. Quando leggo degli ingaggi e dei premi in dollari, certe volte anche tanti dollari, degli ultimi anni e ripenso al bagnoschiuma mi viene un po’ da ridere”.