Nessuna intenzione di distrarre don Abbondio che è in tutt’altre faccende affaccendato. Lui ha già il problema di rispondere su Carneade, e poi con i tempi che corrono…. Carneade Bonomelli? Già qualcuno storce il naso. Eppure…eppure, sapete che vi dico? Che il confronto ci sta. Carneade, appassionato oratore e sottile dialettico, Bonomelli aveva queste qualità. Inviato a Roma dagli Ateniesi parlò (Carneade, dico) per due giorni consecutivi per difendere la loro causa. Carneade di Cirene, scettico integrale, discepolo dell’Accademia platonica. Perché forse Bonomelli scettico non era? All’ennesima potenza, metteva in discussione tutto. Carneade-Bonomelli, o Bonomelli-Carneade? Punti di somiglianza ci sono, a mio vedere.
Insomma, Bruno Bonomelli, chi era costui? Proviamo a rispondere noi (pluralis maiestatis, per ridere), che un pochino lo abbiamo visto da vicino. Così come lo hanno visto da vicino quattro dei cinque relatori del Convegno che l’Archivio storico dell’atletica italiana (A.S.A.I.) ha organizzato in occasione dei 100 anni dalla sua nascita (1910 – 2010). Solo l’architetto Massimo De Paoli non lo aveva mai conosciuto di persona, ma nella sua relazione al pubblico presente al Piano Nobile di Palazzo Mottinelli iniziò affermando che la lettura di alcuni degli scritti del maestro di Rovato gli avevano fatto amare a prima vista il personaggio.
Non poteva essere diversamente, perché Bruno era uno straordinario affabulatore, conversatore brillante, scrittore stimolante, dotato di vasta cultura generale e non solo sportiva, che plasmava con una esposizione che richiamava spontaneamente l’attenzione. Mai banale, come nei suoi scritti. Che, sempre e comunque si facevano leggere, anche se non si condividevano. Ha ricordato Enrico Arcelli che quando lo avevano a cena nella loro casa di Varese, sua moglie rimaneva affascinata da questo “leone ruggente” che aveva la straordinaria capacità di farsi ascoltare.
Come si faceva ascoltare dai suoi atleti, e ne ha avuti molti, bravi e meno bravi. Qualcuno dei suoi oggi dice di se stesso che neppure un mago avrebbe potuto trasformarlo in campione. Ma Bonomelli lo ha plasmato come uomo e come innamorato dell’atletica. Chi viene dalla sua “scuola” ancor oggi, a distanza di decenni, parla di atletica – cosa rara – perché è rimasta una lezione profonda, di quelle che restano dentro per tutta la vita. Quanti sono gli atleti, grandi piccoli piccolissimi, che raccolgono e conservano giornali, risultati, foto della loro carriera? Bonomelli, che ha fatto della documentazione una “religione”, ha insegnato ai suoi discepoli non solo ad allenarsi e a correre, ma anche a conservare le vestigia del loro essere stati atleti in una epoca della loro vita. Giulio Salamina ci ha consegnato tempo fa una raccolta di ritagli di giornale che parlano delle sue gare: “Salamineide”, ironico e storico al tempo stesso, come gli ha insegnato il maestro non un maestro qualsiasi, ma “il Maestro”, nel senso nobile del termine: colui che trasmette valori morali e culturali.
Bonomelli allenatore. Leggete Enrico Arcelli e scoprirete la originalità del pensiero dell’insegnante bresciano che tecnico non era, o meglio non voleva esserlo nella accezione corrente, ma lo era molto più di altri. Ma chi si occupava di maratona a quei tempi? Lasciamo perdere. Ma chi avrebbe mai intrapreso un viaggio dalla Lombardia ad Atene per documentare dal vivo il cammino pedestre di Carlo Airoldi prima dei Giochi Olimpici 1896? Nessuno, solo Bruno Bonomelli. Chi avrebbe misurato – a modo suo, se volete – la distanza dal Ponte di Maratona (villaggio) al vecchio stadio di Atene per dire che la distanza di maratona ecc ecc……? Solo Bruno Bonomelli. Chi scopriva, fra l’irritazione degli spannografi ufficiali, che i campionati italiani di maratona erano più lunghi o più corti? Ma ce ne sarebbero da raccontare a centinaia di episodi.
Bonomelli, Bruno e Rosetta, generosi anfitrioni. La loro casa era uno “spazio aperto” a chi si sedeva, assaggiava, beveva, discuteva, magari litigava, ma nessuno veniva cacciato. Il senso vero della ospitalità. Dice Marco Martini che fu “squisitamente ospitato per un paio di giorni” (e non furono gli unici) nella bella casa di via Sanson 66, sui Ronchi di Brescia, zona nobile della città. Tutti erano squisitamente ospitati, e le serate scorrevano in una atmosfera coinvolgente, e non solo per effetto del vino, rosso o bianco che fosse. Ne so qualcosa, e anche Marco…. Generosità non solo attorno ad una tavola imbandita, ma quella dello studioso che apre la sua biblioteca a tutti quelli che ne hanno necessità o curiosità. Se penso a certi pitocchi che ho conosciuto nella mia troppo lunga esperienza….
Bonomelli compilatore. Unico, un pioniere, ancora oggi: leggete Marco Martini, se scrivo una riga in più faccio torto grave alla sua relazione. Le compilazioni bonomelliane degli Anni ’50 sono rimaste – e rimarranno – dei modelli. Libri che si pagava di tasca propria, come i viaggi ai campionati, agli incontri della Nazionale (che una volta erano il piatto forte dell’atletica, oggi purtroppo sostituiti da questi noiosi surrogati che chiamano meetings), dentro e fuori d’Italia (leggere Sergio Giuntini per la trasferta a Bucarest 1953). Indipendente in tutto. Non c’erano e non ce ne sono molti, ve lo assicuro. Oggi, come ieri, vanno di moda gli “embedded”. Volete che ve lo traduca liberamente? Prezzolati.
Bruno Bonomelli, quello polemico e litigioso. Ebbene sì, era la sua indole battagliera, insofferente, soprattutto alle cazzate che doveva sentire. Non riusciva a trattenersi ed esplodeva, in forma talvolta violenta, che metteva a disagio oppure scatenava le ire di chi lo rincorreva per spaccargli una bottiglia sulla testa, o lo minacciava di pesanti querele che poi non arrivavano mai. Ma, per l’amor di Dio, non fatelo passare, come qualche fesso vorrebbe, come un litigioso viscerale , o per un matto. Ho vissuto in diretta alcune di queste “esplosioni”, eccessive lo ammetto, ma aveva molte ragioni, se non tutte, perché se la prendeva con ruffaldi, ignoranti, finti “profeti”, profittatori dello sport. Rifiutava il potere per il potere, e lottava contro chiunque ne facesse parte, nemici o amici. Comunista a modo suo, ebbe sempre il PCI e il suo organo ufficiale “l’Unità”, per il quale scrisse 28 anni, come obiettivi primari delle sue polemiche. Curioso, vero? Ma non risparmiava nessuno.
Gli amici non più amici. Ne so qualcosa, come Gabriele Rosa. Quando, in momenti diversi, decidemmo di entrare nella gestione di quelle miserrime realtà federali locali (FIDAL provinciale, intendo), la sua ira fu molto più funesta di quella del Pelide Achille. Ci considerava “traditori”, “venduti”, ignobili arrivisti. In verità, almeno io, mi sono solo rotto le palle in quella esperienza, alla fine sentendomi dare anche del “ladro” da un imbecille analfabeta. Allora l’attegiamento e le parole di Bruno mi fecero male e mi allontanai da lui, quando forse aveva più bisogno di persone attorno perché malato. Me ne sono poi pentito. Una cosa però ho imparato da lui, con il tempo, una cosa che ha cambiato per sempre il mio modo di vedere l’impegno personale: mai cercare di cambiare le cose dal di dentro, si viene fagocitati, digeriti, defecati.
Voglio dire l’ultima cosa. Quella in cui è vissuto Bruno era una epoca di giganti, un momento che ha lasciato una impronta indelebile nella storia del nostro sport. Con lui, ne voglio ricordare almeno altri tre, forse ce ne sono altri, ognuno aggiunga chi vuole: Alfredo Berra, Sandro Calvesi, Gianni Brera. Quattro personalità diverse, quattro modi di stare nell’atletica, spesso, molto spesso, in conflitto tra loro. Calvesi e Bonomelli entrambi sulla piazza di Brescia, uno, tecnico di fama internazionale, nato a Cigole, nella Bassa, l’altro a Rovato, a ridosso della Franciacorta. Mi sovviene una definizione che ho letto in un libro di Marco Martini: “Alfredo Berra, apostolo dell’atletica”. Credo che Bonomelli non avrebbe mai accettato per sé una definizione di questo tipo, si sarebbe infuriato, così come non avrebbe mai accettato nessuna etichetta. Scusami Bruno, ma te ne appioppo una a tradimento: “Bruno Bonomelli, eretico dell’atletica”. In fondo, la tua casa sui Ronchi non era molto lontana dalla statua di Arnaldo da Brescia, noto per la sua notevole eloquenza e forte avversione per l'istituzione tradizionale ecclesiastica, il cui corpo fu bruciato e le sue ceneri disperse nel Tevere. La stessa fine che qualcuno avrebbe voluto per te, dalle parti del Foro Italico.