Yang Chuan-kwang, assai anziano, dona alla contea di Taitung, cittadina dove era nato, l’asta usata nel 1963 durante il decathlon in cui stabilì il primato del mondo
(a Walnut, California)
Durante i mesi scorsi il nostro sito ha pubblicato approfondimenti storici e statistici sui protagonisti di una delle più belle gare di decathlon mai disputate: quella dei Giochi Olimpici di Roma 1960. Gabriele Manfredini prima e Marco Martini poi ci hanno svelato – o rinfrescato – dati e protagonisti di quella contesa. Oggi torniamo sull’argomento con un profilo umano del tutto particolare e non molto conosciuto. Come sanno i nostri utenti, l'atletica italiana è la nostra priorità, ma può sconfinare in personaggi che, pur non essendo italiani, hanno attraversato con le loro gesta il "pianeta Italia atletica". Questa è la chiave di lettura da usare per entrare nella vicenda sportiva e umana di Yang Chuan-kwang, il famoso decatleta di Taiwan, argento a Roma e poi primatista mondiale, un esempio paradigmatico di cosa possa significare diventare l’eroe di una piccola nazione quando la vita non è ripiegata sul proprio tornaconto, ma è vissuta come anelito a un “Più Grande di Noi”. Ce la racconta, anche in questo caso, Marco Martini, un maestro in questo genere di storie.
L’approccio mentale del praticante di atletica, già particolare rispetto ad altre discipline sportive, trova una ulteriore sublimazione in chi si dedica alle prove multiple, specialità che va affrontata con atteggiamento da vero e proprio «devoto». Non stupisce quindi la vicenda del decatleta Yang Chuan-kwang, che con la medaglia d’argento vinta a Roma ai Giochi Olimpici del 1960 divenne eroe nazionale della piccola realtà politica che rappresentava: Taiwan. Il percorso della sua vita interiore si intreccia a filo doppio con quella del suo Paese, che visse dapprima un periodo di benessere e tranquillità sotto la dittatura di Chiang Kai-shek, e poi uno di grandi mutamenti e contrasti con l’avvento della democrazia, mantenendo però sempre un unico atteggiamento di fondo, quello del rifiuto di essere considerati come una succursale della Cina.