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Nato a Civitavecchia il 15 maggio 1917 da padre macchinista sulle navi e rimasto orfano a soli 9 mesi di età, la mamma si arrangiò in mille mestieri pur di farlo studiare, e Oscar Barletta si diplomò ragioniere.

Iniziò la pratica sportiva con il ciclismo, ma senza successo. La carriera atletica – primi approcci nel 1936 con le corse campestri – fu agli inizi interrotta dalla chiamata alle armi. Nel 1938 fu inviato a Trapani, ma la sua domanda di orfano di guerra fu accolta e venne trasferito a Roma al Distretto Militare con l’incarico di portaordini e la dotazione di una bicicletta per svolgere quel compito. Niente di meglio per un ex ciclista appassionato di atletica, che nei suoi giri di consegna rubava sempre un po’ di tempo per fare una capatina al Campo Guardabassi a praticare un po’ di corsa. Nel 1939 si laureò campione regionale nei 1500 metri e, sulla stessa distanza, finì al 4° posto nei Campionati Italiani GIL. Nel 1941 vinse i 1500 ai Campionati Italiani seconda serie, poi sulla stessa distanza centrò la medaglia di bronzo agli Assoluti e vestì la maglia della Nazionale contro l’Ungheria. Chiuse la stagione con la doppietta 800/1500 ai Campionati Regionali.

Nel 1942 si piazzò quarto nei 1500 ai Campionati Italiani e corse la stessa distanza in un 3:57.7, quarto nella lista stagionale italiana assoluta, che rimase poi il suo miglior risultato cronometrico di tutta la carriera. Entrato, come detto, nel giro della Nazionale, nel biennio 1941-1942 sostenne lunghi periodi di allenamento a Firenze sotto la guida del magiaro Miklós Szabó, che gli faceva compiere due sedute di training al giorno, e che gli trasmise la passione per la cosiddetta «arte di allenare». Dal 1943 al 1947 si aggiudicò ancora molti titoli regionali, su pista e nelle campestri. Nel 1944 fu prelevato dai tedeschi e condotto a Rieti per i lavori al locale campo di aviazione, e subito dopo la guerra fu nominato direttore di un campo profughi nel Lazio.

 

 

Intanto, mentre ancora era attivo come atleta, cominciò a trasmettere il suo sapere ai giovani, avendo come centro di azione la S. A. Civitavecchia, club nel quale operò dal 1945 al 1957 reclutando ragazzi nelle scuole e in qualunque altra occasione gli si presentasse. Acquisì notorietà come tecnico, portando molti giovani a ottimi livelli, e conseguì risultati ancor più lusinghieri nel Club Atletico Centrale di Roma (1958-1961). Nel 1962 entrò a far parte dello staff tecnico del CUS Roma, società all’epoca tra le migliori d’Italia, in cui rimase fino al 1987 per passare poi alla Sisport Fiat Torino. Con i suoi ragazzi vinse diversi campionati italiani di società di corsa campestre, nel 1961 con il Centrale, e dal 1962 al 1966 consecutivamente con il CUS Roma.

Nel 1970 fu chiamato a diversi incarichi federali, tra i quali spicca quello di rimettere in sesto il disastrato settore della maratona, obiettivo centrato in pieno e nel quale ottenne la maggiore soddisfazione con la vittoria nella Coppa del Mondo femminile di maratona nel 1985. Dal 1973 al 1987 fu anche responsabile tecnico del Centro federale di mezzofondo e fondo di Ostia (qui rivestì un ruolo importante nell’avviamento all’atletica di élite di Gabriella Dorio). Ha allenato generazioni di atleti, dal primatista italiano dei 3000 siepi Umberto Risi (anni Sessanta) fino a Roberta Brunet (medaglia di bronzo ai Giochi Olimpici 1996), e persino un giovanissimo Mohamed Gammoudi, ospite in Italia nel 1961, ancora inconsapevole delle sue qualità di mezzofondista, insieme ad altri atleti militari tunisini.

Del sempre sorridente, bonario, paterno Oscar, soprannominato “L’Etrusco, la caramella sempre pronta in tasca per raddolcire la bocca per un eventuale dispiacere, ci piace ricordare quanto ci raccontò circa la sua prima esperienza sul campo di responsabile della maratona italiana. Batte il percorso avanti e indietro e si accorge che gli addetti allo spugnaggio lavorano con una sola spugna per ogni punto di rinfresco, la mettono a disposizione dell’atleta in arrivo e, quando questi se ne libera dopo averla usata, vanno a raccogliere la spugna e la rigettano nell’unico secchio di cui sono muniti, sempre nella stessa acqua, mettendola poi a disposizione del successivo atleta in transito. L’Etrusco, penserete voi, va in bestia emettendo urla e strepiti? Niente affatto. Oscar si segna tutte le manchevolezze igieniche e tecniche notate e, dalla competizione successiva, distribuisce in anticipo per iscritto, agli organizzatori e agli addetti, uno per uno, il suo «decalogo» di consigli e suggerimenti. Inizia così, con pazienza e umiltà, la sua opera di ricostruzione del settore. (m.m.)

Nella foto: Oscar Barletta (a sinistra) in compagnia di Mario Lanzi, direttore del Centro di allenamento federale di Schio.