Parry O’Brien, l’atleta che rivoluzionò lo stile del getto del peso, fino allora basato sulla semplice traslocazione, vinto a soli 19 anni di età il primo titolo statunitense assoluto, venne in tournée nel nostro Paese all’inizio dell’estate 1951. Arrivò in treno da Zurigo (dove avrebbe poi gareggiato il 28 luglio e vinto con un lancio di 16.46), parte di un intero contingente americano in tournée in Europa, e gareggiò il 30 giugno a Milano e il 1° luglio a Bologna. La tecnica di lancio da lui escogitata, fin troppo nota per essere qui ricordata, fu adottata a livello planetario nel giro di qualche anno (in Italia nel 1956), dominò fino agli anni Settanta, e ancora oggi è largamente adoperata e convive con lo stile rotatorio. O’Brien la adottò definitivamente, dopo averci lavorato sopra nel biennio 1950-51, nel 1952; quando venne in Italia usava dunque ancora il metodo tradizionale. Dalla carta stampata dell’epoca cercheremo ora di capire se gli italiani riuscirono a notare quegli elementi potenziali che avrebbero poi permesso a O’Brien di modificare il corso della storia della specialità. Il primo quotidiano sportivo a presentare agli italiani questo giovane campione fu Tuttosport, il 28 giugno, ma non anticipò nulla della sua nuova tecnica, che come detto era ancora in fase sperimentale, fornendo solo informazioni di carattere biografico.
L’unico che lo osservò attentamente in allenamento, al campo Giuriati di Milano, fu il corrispondente de Il Corriere dello Sport, l’anziano Luigi Ferrario, che ne trattò nei seguenti termini: «O’Brien è atleta che ha attirato la nostra attenzione in maniera speciale. Egli ha spalle potentissime e due mani con dita gigantesche. Il dito mignolo ha le stesse dimensioni di un indice di un uomo normale; ecco perché la palla appoggia sulle sue dita e viene anche lanciata con la (sola) punta. Pur calzando scarpe da riposo, (al Giuriati) è riuscito a scagliare il peso a 15 metri» (Il Corriere dello Sport 30-6-51). È evidente già da queste righe che di lui si conosceva un dettaglio tecnico preciso: l’accentuato uso delle dita rispetto all’allora più usato palmo delle mani. Ciò che si scrisse nei giorni successivi sul quotidiano sportivo torinese conferma l’attenzione degli appassionati verso questa caratteristica: «Di Parry O’Brien ci ha colpito la perfetta tensione e la preparazione ante-gara. A vederlo non gli si darebbero certo i 17 metri che ha raggiunto in America. Di statura media, il volto ancora da adolescente, O’Brien lancia tenendo il peso appoggiato tra spalla e collo, imprimendo all’attrezzo una frustata finale con le ultime due falangi delle dita. Cosa che per noi è assolutamente da sconsigliare» (Renato Morino, Tuttosport 2-7-51). Dovevano saperlo in anticipo anche i nostri lanciatori, perché il giorno dopo lo stesso quotidiano così si esprimeva: «Da meditare è pure l’episodio raccontato da Angiolone Profeti durante il pranzo di sabato. Diceva dunque Profeti che, lanciando O’Brien il peso con le sole dita, invece che con il palmo come si usa da noi, Dalla Fontana (primato personale di 13.85) volle imitarlo. La conseguenza fu che a Dalla Fontana quasi si rovesciò la mano, causandogli un diffuso dolore a tutto l’avambraccio» (Renato Morino, Tuttosport 3-7-51).
Da Milano ci arrivano le sensazioni prodotte su un altro cronista, che sottolineano la velocità di esecuzione del lanciatore: «O’Brien è un tipo di lanciatore di peso perfetto, agile, scattante nella sua potenza. Lo vedemmo correre lungo il prato, e se non fosse stato per la sua mole lo avremmo preso per un velocista» (Gian Maria Dossena, La Gazzetta dello Sport 1-7-51). «Parry O’Brien è un lanciatore di peso nel vero senso della parola. Un atleta cioè non nutrito a polenta, come da secoli il nostro popolo. Mostrò una tale potenza di esplosione da non far dubitare sulla sua facoltà di giungere entro un paio di anni nettamente oltre i 17 metri e mezzo. Essendo molto giovane non è ancora in possesso di quella continuità di gara che caratterizza Jim Fuchs (nda: n. 1 mondiale dell’epoca). Esaurì la sua carica nervosa nella riunione milanese, e dovette faticare a raggiungere i 16 metri a Bologna. Ma, splendido per coordinazione e schiattante potenza, per qualità fisiche possiamo porlo su un piano di poco inferiore solo a quelli di Rhoden e Attlesey (nda: altri atleti del nuovo continente in tournée in Italia)» (Gian Maria Dossena, La Gazzetta dello Sport 3-7-51).
Identiche sensazioni si leggono sul quotidiano sportivo bolognese: «O’Brien possiede nello scatto il segreto primo dei suoi eccezionali risultati» (Renato Dotti, Stadio 2-7-51). «O’Brien, diciannovenne lanciatore di peso della Southern California University, (ha un) fisico perfetto mantenuto nei limiti della normalità atletica. Osservandolo a riposo sembrerebbe impossibile che un tal fisico potesse sprigionare forza ed energia da 17 metri nel peso. Ma in azione egli rivela una spallata finale che spiega tutto. Domenica O’Brien non ha trovato il lancio felice. La palla viscida gli è più volte sfuggita, ma si è sempre avvertita la spinta tremenda» (Renato Dotti, Stadio 3-7-51).
Una vecchia volpe delle pedane come il commissario tecnico Giorgio Oberweger, commentò il gesto del californiano con una analisi non solo tecnica, ma anche biomeccanica, che catalogò il gesto di Parry come top assoluto per il getto del peso: «Splendida fu la dimostrazione milanese nel peso di O’Brien, un fresco ragazzone dallo stile pulito e secco, ma non un mostro di proporzioni e di potenza. Tutti i canoni della specialità (sono) riassunti in quella preparazione quasi sorniona, in quel finale veemente, rabbioso, compattamente coordinato: la partenza sciolta diveniva, nel saltello, una concentrazione muscolare fulmineamente progressiva culminante nell’esplosione simultanea delle forze di mano-braccio-spalla-anca sul rimbalzo portante di due gambe elastiche e possenti. Stile condizionato da anni e anni di educazione fisica e preatletica e di applicazione all’esercizio. È stata un’altra gradita conferma, questo giovane, candido O’Brien, di ciò che di più bello e aggiornato in atletica l’America ci ha presentato in anni recenti» (Atletica 5-7-51).
Insomma un O’Brien, quello visto in Italia nel 1951, che destò notevole interesse, anche se non aveva ancora completato la messa a punto del suo nuovo stile.