Qui sopra trovate le riproduzioni dei risultati originali dei tre grandi successi consecutivi di Alberto Cova: Campionati d'Europa, Atene 1982; Campionati del mondo, Helsinki 1983; Giochi della XXIII Olimpiade, Los Angeles 1984. Risultati originali significa quelli usciti immediamente, e non quelli «aggiustati» in seguito, dopo poco edificanti vicende (leggi: doping). Per ingrandire cliccare su ognuna delle pagine. Se volete vedere il finale degli Europei '82 cliccate invece qui.
Frasca - Reineri, dunque. Il primo fu il redattore della cronaca. I nove giorni olimpici furono raccontati sulle pagine della rivista con questa ripartizione: Augusto le corse maschili, Dino Pistamiglio i concorsi maschili, Gianni Corsaro le gare di marcia, Ottavio Castellini tutte le gare femminili. Altre firme: Roberto L. Quercetani, Gianni Ranieri (di «Stampa Sera», un giornalista di grande stile umano e professionale), Giulio Signori (de «Il Giorno», un gentleman), Nico Pacilio e Fabio Camerini. Era davvero un bel leggere. Giorgio Reineri cesellò il ritratto di Alberto Cova. Adesso tocca a voi. Leggere.
"Tre batterie per i quindici uomini della finale. Al termine della prima, i sogni di qualcuno di vedere Antibo sicuro fra le medaglie acquistano poderosa consistenza. La sicurezza del ragazzo è in effetti stupefacente. Prima ripoerta tutti sotto Virgin al settimo chilometro, strattona i sette rimasti in testa. La sorpresa è nei piedi di Antibo all'arrivo, alluci straziati da scarpe nuove malmesse in ogni senso. L'ingenuità d'un ragazzo sprovveduto, aggiunta alla disattenzione di chi gli era attorno ed alla stupida protervia d'un commerciante di calzature privano sicuramente Antibo, all'arrivo finale, di ben altre soddisfazioni. La seconda batteria, quella di Cova, offre l'eliminazione a sorpresa di Shaahanga, uno degli ereoi di Helsinki, e di Cummings. Nella terza, infine, poca storia per Panetta.
"Venerdì 3 agosto, ore 19.45, ventisei gradi centigradi. Nove persone su dieci, addetti e non, danno Cova. È duro vincere avendo in pugno tutti i pronostici. La vicenda della gara è trascurabile fino ai 4600 metri, quando Mamede perde due metri. Sarebbe il caso di allungare. Non ve n'è bisogno. Fernando, quel viso oblungo veramente triste come una salita, lascia la compagnia ed entra direttamente negli spogliatoi a dodici giri dalla fine. La chiave di soluzione della gara la fornisce Nick Rose a undici dal termine, con un allungo secco al quale reagiscono con prontezza solo Vainio e Cova. Per Rose si tratta in effetti d'un fuoco di paglia. Basteranno quattro zampate di Vainio a togliere di mezzo il britannico.
"Sono solo in due. Viste le caratteristiche dei due atleti, se Cova tiene la vittoria è sua. Alberto dirà all'arrivo di non aver mai sofferto tanto, due strappi di Vainio, specie quello tagliente a 850 metri dall'arrivo, sono per la verità micidiali. E mentre Cova va a raccogliere l'apoteosi a metà della curva finale, Evangelisti consuma il proprio splendido dramma personale su una pedana che offre all'Italia il miglior risultato di sempre. Apoteosi per Cova, memorabile tris d'un grande campione. Frattanto, con gli alluci rappezzati e con uno scupio imperdonabile di energie che meriterebbe una bruciante sculacciata, Antibo regala agli avversari una medaglia di bronzo, soprattutto con il tardivo attacco ai 120 finali, sbattendo peraltro su Musioki, recuperando poi alla disperata, perdendo infine il bronzo per ventotto centesimi".
P.S. - Per coloro che ignorano, per i deboli di memoria, per evitare che arrivi l'immancabile Pierino/Pierina (adesso parità di genere) so tuto mi che faccia notare..., diciamo subito che il palo telegrafico finlandese Marti Vainio ebbe qualche intoppo di troppo nell'urinare e fu tolto di classifica. Le ultime righe dello scritto di Frasca, a proposito di Antibo, già riflettono questa situazione post-gara. I più attenti avranno anche notato che il titolino rieccheggia la emozionante telecronaca di Paolo Rosi negli ultimi metri al Mondiale di Helsinki '83. A ricordo del grande Paolo e di un altrettanto grande indimenticabile momento (per quelli che c'erano...) vi riproponiamo il video di quel finale.
Alberto
di Giorgio Reineri
"Non era mai accaduto che l'Italia vincesse il titolo olimpico dei 10 mila. La corsa lunga - 10 mila e maratona - misura la capacità di resistenza di un popolo, il grado di civiltà atletica di una nazione. Nella corsa, l'uomo scava se stesso alla ricerca delle energie indispensabili per trasportare il proprio corpo: la corsa di lunga lena è difatti, prima che un esercizio fisico, un ritiro spirituale. Le guance scavate, le braccia rinsecchite dalla fatica, le rotondità piallate dai chilometri, le ossa che traspaiono sotto la pelle sono i segnali distintivi del corridore di mezzofondo (e fondo).
"Gli stessi segni si possono trovare tra gli anacoreti del deserto o i solitari frequentatori di boschi di betulle, tra i fachiri del dolore e i cultori del silenzio: gli uni e gli altri cercano in se stessi la forza per procedere sul logorante sentiero della vita. La corsa dei 10.000 (come ogni corsa di mezzofondo prolungato e di fondo) è la proiezione agonistica delle quotidiane angosce: esse si snocciolano giorno dopo giorno così come, giro dopo giro, si snocciola la gara. Chi arriva al traguardo è un vincitore, chi vi arriva per primo ha diritto alla corona di alloro che spetta ai poeti. È dei poeti, difatti, la ricerca mistica: nell'atletica in generale, ma nel mezzofondo e fondo in particolare, la mistica vale più di un allenamento.
"Alberto Cova è un mistico. Se non si possiede senso mistico non si reggono gli allenamenti. La preparazione ad una gara olimpica dei 10 mila metri è difatti un esercizio che attiene ai muscoli, al cuore, agli enzimi, ma soprattutto alla volontà. La volontà si nutre di valori profondi, più che degli scintillii della moda: essa, la volontà: essa, la volontà, va esercitata e rafforzata attraverso la mistica della fatica.
"Grandi religiosi furono, e sono, i finlandesi. La loro mistica è quella che esalta l'anima nascosta nei muscoli, il giusto panico della natura; la loro volontà è mitica e imbattibile: si chiama sisu.
"I finlandesi hanno storicamente dominato il mezzfondo prolungato; a loro si accodarono altri uomini del nord: le renne di Svezia, i polacchi, i cugini ungheresi, i cecoslovacchi e gli inglesi (che in realtà li avevano preceduti, essendo gli inventori del mezzfondo moderno). Ma è in Finlandia che la sintesi di tutte le qualità si compì: da Hannes Kholehmainen a Paava Nurmi, da Ritola a Salminen, da Iso-Hollo a vaatainen a Viren: gli uomini del nord e del freddo, delle lunghe notti e degli infiniti, silenziosi spazi insegnarono al mondo la religione della corsa.
"In Finlandia si va pellegrini, come a San Pietro o alla Mecca. Il Finlandia ci si ritrova per rafforzare lo spirito: e Alberto Cova è un frequentatore di quell'immensa chiesa, che ha per pavimento il muschio, per candelabri le betulle e per cupola la volta del cielo.
"In Finlandia, Alberto Cova ci è andato prima di precipitare a Los Angeles; e ci era stato nel 1982, avanti Atene; e nel 1983, prima di ritornarci per divenire campione del mondo.
"Certo, in Finlandia l'aria è fina e leggera, e il corridore è rispettato come un sacerdote nelle nostre campagne, un tempo. Certo, in Finlandia si recupera la fatica, con facilità; il corpo non è disidratato dalla calura, ma nutrito dai freschi tepori dell'estate. Però tutto ciò non basterebbe a spiegare i pellegrinaggi in quella terra se non ci fosse il desiderio, il bisogno fisico e spirituale, prima che atletico, di tornare alle origini, là dove la religione della corsa ha la sua più celebre cattedrale, elevata nel nome di Nurmi e della fierezza nazionale.
"Alberto Cova ha la fierezza di un brianzolo che corre. Difficile dire se sia più fiero un brianzolo che fatica di un finlandese (che non sta mai fermo, se non corre, beve). I brianzoli hanno avuto ottimi corridori, come l'Ambrosini di Monza, che falcò con successo piste internazionali negli Anni Trenta. I brianzoli sono gente tosta, gente dura: di crapa, nel senso che non si rassegnano; di muscoli, nel senso che non li spaventano le asprezze della quotidianità. Lembi di Finlandia, insomma, nella penisola italiana. L'Italia sarà magari uno sfascio geologico, ma dallo sfascio chi emerge possiede in sommo grado la virilità.
"Molti sono stati gli italiani emersi, ma mai nessuno capace d'arrivare al titolo olimpico dei 10 mila. Ed anche Cova teneva contro di sé la cabala dei numeri. È diffcile vincere una volta, difficilissimo ripetersi: quasi impossibile triplicare i successi.
"Alberto ci è riuscito. Storicamente, nessuno ha mai fatto l'uguale: dice, mai fu data ad alcuno l'occasione. È vero: i campionati del mondo sono di freschissima nascita, ma ciò non cambia le cose: anche tra i viandanti di questo tempo, nessuno vè riuscito.
"In altri periodi, Nurmi, Zatopek e Viren furono i soli a vincere due Olimpiadi dei 10 mila; campionato del mondo e Olimpiadi hanno, in atletica, identico valore tecnico; ci concedete, allora, di assimilare ai successi dei Tre Grandi, i successi del nostro omino?
"Oh, non diciamo che Cova Vale Nurmi, Zatopek e Viren: sarebbe discussione oziosa, perchè ciascuno è figlio dei propri giorni. E la grandezza storica è la proiezione mitica di un periodo: ma perchè, allora, non ritenere che i giorni che viviamo equivalgano a quelli che, agonisticamente, vissero Nurmi, Zatopek e Viren?
"Non è una bestemmia, è in fondo una constatazione: Cova è il primissimo del suo tempo, e questo tempo non è da meno di quelli che lo precedettero. L'Italia ha dunque il suo eroe, e per esso sarebbe infine giusto erigere una cattedrale: la cattedrale del mezzofondo, affinchè anche quaggiù, nel sud d'Europa, cresca e si sviluppi la religione della corsa. Alberto Cova, come missionario, ha compiuto l'opera sua: agli altri, ora il compito di continuarla".