La copertina della mai dimenticata rivista “Atletica Leggera” del giugno 1972 che celebra uno dei primi importanti successi internazionali di Pietro Mennea alla Arena Civica di Milano. A destra: il grintoso sprinter di Barletta trionfa sui 200 metri ai Campionati d’Europa a Praga, nel 1978
Abbiamo chiesto a Giorgio Reineri, per molti anni inviato de "Il Giorno", poi responsabile dell' Ufficio Stampa della IAAF dal 1995 al 2001, e socio dell'ASAI fin dalla fondazione nel 1994, di distillare dai tasti del suo PC un ricordo di Pietro Paolo Mennea. Lui, che ne ha seguito la intera carriera, dalle prime falcate di giovane sprinter fino al trionfo olimpico e alla successiva epopea atletica conclusa ai Giochi di Seoul '88, con la quinta partecipazione olimpica. Lui, Giorgio, che sa coniugare come pochi l'arte di scrivere bene e di farsi leggere. Un'arte innata, coltivata e rinvigorita negli anni di professione al "Giorno", che, a nostro giudizio, ha avuto una delle redazioni sportive più ricche di talentuosi giornalisti sportivi.
Grazie Giorgio, per arricchire il nostro modesto sito!
Ecco l'incipit dello scritto di Reineri. Per leggere l'intero testo premere qui...
Il primo giorno di primavera di questo 2013 se n'è andato Pietro Paolo Mennea. È accaduto tutto rapidamente e anche un po' misteriosamente, in coerenza a come aveva sempre vissuto. Dicono che l'abbia ucciso un male estremo che non lascia scampo: quand'esso attacca le cellule di certi organi (pancreas? colon? le versioni sono diverse), anche la più avanzata scienza alza bandiera bianca. Ma dubitiamo, per come l'abbiamo conosciuto adolescente e poi nella lunga stagione dei trionfi atletici, che Pietro si sia arreso. Immaginiamo la sua lotta, il suo digrignare dei denti, la sua inesausta fede nella forza della volontà. Finchè gli è stato concesso fiato e una stilla di energia, Mennea ha certamente combattuto così come aveva fatto mille volte in pista e, poi, negli studi universitari e nell'attività professionale.
Gli italiani, anche quelli che non si nutrono di notiziari sportivi, sapevano chi fosse stato, trent'anni e passa or sono, la "Freccia del Sud": uno che arrivava rapido e puntuale, alla faccia delle strombazzate "frecce ferroviarie" di oggi. Di quest'ultime, difatti, non aveva proprio nulla: non il profilo elegante, la sagoma filante, il silenzioso e morbido procedere quasi che, invece di correre su binari di ferro, scivolino su cuscini d'aria. Pietro Paolo, al contrario, ruminava fatica, sputava fiele, storceva il busto e protendeva il mento. Pareva, quasi, che il principe De Curtis si fosse fatto velocista: ma nessuno ne rideva, perchè sarebbe stato come ridere di noi stessi. Invece scrosciava l'applauso: ringraziamento per qualcuno che, pur assomigliandoci, s'era fatto campione.